lunedì 24 ottobre 2011

Partita doppia

Vagnuni, qui c'è troppa roba per il povero cronista di Smallville. Ci eravamo lasciati mentre si spargeva nell'aere stralentino la notizia che il Consiglio Comunale era un covo di sniffatori e ci ritroviamo nella solita latrinaccia dove guaiscono i procacciatori di voti pronti ai più inusitati funambolismi.

Tanto per dirne una: dopo anni (anni) di parolacce reciproche, Alvaro Giovinotto – il giovane rockabilly attuale sindaco di Smallville – e Abelarda Semprevispa, la sempiterna ducessa di ogni Stralento, fecero capire di poter non dico venire a patti, non dico mettere della saliva appiccicaticcia tra le proprie diversità, non dico riprendere a salutarsi all'uscita da opposti convegni al medesimo hotel Giorgione, non dico a nominarsi senza nefandi nomiglioli con i giornalisti, ma almeno a buttarsi corna contro corna in singolar tenzone.
 Echeggiò in tutto lo Stralento l'editto primordiale, il subtesto corale, l'inusitata primizia: primarie nel centrodestra, primarie nel centrodestra! In effetti, facendo quel minimo di aritmetica che abbisogna in casi cotali, risultava evidente che: Abelarda + Giovinotto insieme alle elezioni = quasi sicura vittoria per lo schieramento del guru marcescente di Arcore; Abelarda per i fatti propri (al centro?) versus Giovinotto = risultato incertissimo per il centrodestra; Abelarda dall'altra parte del fiume (centrosinistra) = sconfitta plateale del centrodestra. Quest'ultima possibilità era d'altronde irreale, perché – dopo non poche sfibranti riunioni a base di ciceri e trippa e succo di pampaciuni, corroborate da termos pantagruelici di caffè in ghiaccio al latte di mammola– persino l'ala etno-menscevica del Partito del Lavoro Complesso non se la sentiva di aprirsi alla temibile Semprevispa e al suo terrificante ancorché archeologico dinamismo terron-chic.

 Restavano quindi due buste: a) Abelarda e Giovinotto facevano finta di stare insieme fino alle elezioni, dopo aver consumato un rituale collettivo assai cannibale (le primarie del centrodestra) che avrebbe stabilito chi dei due avesse più testosterone elettorale; b) Abelarda e Giovinotto continuavano a comportarsi come nemici, e allora persino quei simpatici bevitori di succo di pampaciuni del centrosinistra potevano sperare di portare a casa un sindaco dopo anni (e anni, e anni).

 Ma le dichiarazioni dell'una e dell'altro sulle più prestigiose testate internazionali non rincuoravano i pochi centrodestri rimasti con la testa sulle spalle. Le primarie? E chi le aveva mai viste? Nel centrodestra? Ma se tutto per più di sessant'anni era stato regolato con il Cencelli in mano e poi, dopo la burla di Tangentopoli, con l'autorità del leader personale, unico demiurgo (anche in gonnella) del destino del voto dei cittadini? Provate a immaginare – dicevano quelli della fazione degli Assennati – che vorrebbe dire fare le primarie fra un lupastro nasuto e una tigre attempata? Chi li va a cercare i voti contro l'Abelarda nelle rovine della 167? Chi si mette contro il Freddo di Maglie, dominus di Giovinotto e che persegue con indicibile coerenza la distruzione della Semprevispa anche a costo di rimetterci tre cravatte Serenella regalate dal premier in uno slancio di generosità superumana? Metti che vince quella: il Freddo deve ingollare porzioni sumo di pasticciotti per ritrovare il suo mesto ghigno televisivo, e il suo dietologo dovrà dimettersi da ogni incarico (ci stava comunque meditando da tempo, battuto dai ristoranti romani e dalle scarpette di sugo di trippa e animelle che il Freddo ingollava fottendosene degli schizzi sulla camicia fatta a mano dal sarto di Ruffanopoli). Oppure: metti che vince quello: che vita attenderebbe la tigre dello Stralento una volta che fosse stata morsicata nelle zampotte da un lupastro rockabilly? Si può andare in pensione così precocemente? Chiudere una carriera secolare con una sconfitta inferta da un nemico così insignificante? Che si fa? Dove si va?
 Signorilmente, i due sapevano che dovevano portare avanti la pantomima almeno fino all'unico atto che avrebbe reso calpestabile una situazione vagamente reale: e cioè che si sapesse il nome dell'avversario dell'altro schieramento. Così, giusto per capire di che morte morire o per capire di chi farsi beffe.

Perciò eccoci, vagnuni, all'altro corno del problema. Avrete sentito, in queste malmostose settimane di primo autunno, che nel centrosinistra la tavola rotonda era di nuovo di moda. C'è chi l'avrebbe voluta rotunda o qualcosa del genere, ma alla fine chi ha perso non può che piallare gli angoli del proprio desiderio. Da questa parte del fiume la realtà sembrava essere questa: dopo più di un anno le primarie sembravano finalmente a portata di mano. Persino il titubante Topazio Trillo dell'Italia di Tonino, sfoggiando un intollerabile Ipad da polso, si era lasciato sfuggire un significativo, per quanto doloroso, “evabbè”.

 Ora il problema consisteva, per i pochi convinti sostenitori delle primarie vere, nel dare un contentino ai vari citrulli che avevano proposto – giusto così, per blaterare qualcosa – le primarie delle idee. Un comitato di saggi messo in piedi da Sinistra, Filantropia e Preveggenza si riunì in un lungo fine settimana nella masseria di Helen Mirren e così deliberò. Le primarie delle idee erano una signora ciofeca. Giacché con le primarie “normali” si sceglieva un unico candidato, così si sarebbe dovuto fare con le primarie delle idee. Il compagno Sportello, portavox del Partito del governatore Abele Cuoredoro, se ne arrivò con codesta riflessione: non era possibile svolgere le primarie delle idee, perché con una sola idea, per quanto super-trendy, non si faceva un programma. Ma tosta fu la replica di Giacinto Cravatta, zompettante segretario cittadino del Partito del Lavoro Complesso: “Facciamo le primarie delle idee su quest'unica idea: se è giusto o no fare le primarie”. Sportello voleva piangere come un vitello o gettarsi a testate contro il pur mite Cravatta, e avrebbe anche fatto o l'una o l'altra cosa (o entrambe) se nella stanza della tavola rotonda non fosse successo l'irreparabile: l'Ipad da polso di Topazio Trillo era scoppiato come un mortaretto. Attentato del centrodestra o acquisto incauto su Ebay?

domenica 9 ottobre 2011

Un regalo per Renato

“Caro Renato,
scusa se uso impropriamente le colonne digitali di questa testata per una celebrazione privata, ma ho la pretesa di ritenerti una persona rappresentativa di questa città – anzi, della sua parte migliore – e intendo dunque farti i miei auguri di compleanno – e che compleanno – per riflettere a voce alta sul luogo che ti ha dato i natali, e dove tu trascorri la maggior parte del tempo da esattamente mezzo secolo. Già, le persone che ti conoscono di vista non possono saperlo, ma tu oggi compi 50 anni. “Ma davvero? Ma dai, te avrei dati quaranta” - questi i commenti più diffusi alla notizia del tuo genetliaco. Sì, sei un signore di mezza età, ma sembri un giovanotto.

Quando arranchi nelle stradine di Smallville dietro a quella specie di manzo argentino che ti ostini a considerare il tuo cane, quando subisci l'ennesimo caffè in ghiaccio offerto da un cliente moroso della tua banca, quando dispensi utili consigli ai vigili urbani indecisi se chiamare il carroattrezzi o limitarsi alla multa da 200 euro infilata nel tergicristallo, quando sgommi sulla tangenziale alla ricerca della squadra di calcetto del sabato pomeriggio: ebbene, la gente non sa che dietro il tuo sguardo sbarazzino si celano le diottrie affaticate di un cinquantenne. Mezzo secolo, René, te ne rendi conto? Quando sei (siamo) venuti al mondo la tv aveva appena inaugurato il secondo canale, le immagini giungevano in bianco e nero, ovattate. Ti ricordi? Un certo giorno del 1963 vedemmo i parenti tristi, che piangevano la morte di quel presidente col ciuffo e l'aria libera. Poco dopo gli americani arrivarono sulla luna, e poi Rivera segnò un gol da urlo al povero Mayer frantumatosi dalla parte sbagliata della porta, in quella meravigliosa partita che innalzò l'autostima del nostro popolo fino all'eroismo di massa.

 Per non parlare del mundial del 1982, che ricordiamo nella speciale fragranza del tabacco da pipa del presidente Pertini, del suo sorriso contagioso e partigiano. Noi andavamo già all'università, e ci eravamo lasciati alla spalle le agitazioni del liceo e la nostra insofferenza. Qualche volta mi hai raccontato di quei lontani anni davanti a un bicchiere del nostro oste irlandese, Mark O'Poor. “Si parcheggiava nella piazza del Duomo” - mi dicevi incontrando il mio sguardo incredulo. Eh già, Smallville era un'altra cosa, allora.
Nei nostri paraggi anagrafici si creava un immaginario pieno di fascisti e di compagni, piccole lotte per la sopravvivenza di un'idea militante che si scontrava con le molecolari azioni che intanto trasformavano una cittadina operosa al servizio delle campagne nella cabina di regia di ciò che ancora rendeva bene in provincia. Le tante banche che hai visto sorgere a cavallo tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 che cosa raccontavano se non una destinazione astuta del denaro, nato dal tabacco e dalle tomaie e finito ad alimentare portfoli diversificati, da amministrare con dovizia di furberie da parte dei tanti commercialisti e altri burocrati dell'investimento? Eh sì, Smallville è cambiata, e tanto.
Tu ti sei sempre chiesto perché non si potesse vivere meglio da queste parti, visto che il clima è buono, il cibo eccellente, il mare magnifico e la gente sufficientemente intelligente e a volte persino gentile e disponibile. Già: perché non si poteva – pensavi – dare spazio alle biciclette, moltiplicare il verde pubblico, dotare il centro di buoni collegamenti con la periferia? Perché non si poteva avere una squadra di calcio degna di questo nome, invece che un'equipe schiacciata tra stagioni buone e ridiscese al purgatorio della serie minore? Sono domande di cui tu, persona piuttosto saggia, sai già le risposte.

Quanti ne hai visti che non disponevano di talenti, ma solo di una nascita fortunosa, e che tenevano uno stile di vita da miliardari improvvisati? Ehi René, quante automobili di lusso hai visto guidate da bamboccioni sniffatori buoni al massimo per scroccare una serata a una cubista del capo di Leuca? Quante stagioni hai visto buttate via dai contenziosi tra azienducole capaci però di bloccare pavimentazioni di strade e costruzioni di edifici pubblici? Quanti condomini hai visto crescere dal giorno alla notte negli spazi che un qualsiasi urbanista di medio livello avrebbe giudicato “non adatti all'edificazione”? E quanti complimenti esagerati hai sentito rivolgere a chi si è limitato a intercettare risorse europee per rifare il copriletto al centro storico? Certo, meglio il basolato dell'asfalto. Però quanti cacchio di raccomandazioni ha messo in moto quel correre all'intervento municipale nelle infrastrutture? Quanti giovanotti hai visto morsicarsi le unghie temendo che all'ultimo istante la raccomandazione dello zio prete non giungesse a buon fine per entrare nello staff del presidente della provincia?
E' da cinquantanni, caro Renato, che vedi la tua città con gli occhi di uno che sa di comportarsi tendenzialmente bene, e che – a parte la breve parentesi del sindaco Bellapersona – ha sempre visto susseguirsi signori e signore del centrodestra a tenere il timone della tua città, con tutte le conseguenze di questo genere di egemonia nella disposizione dei servizi e delle risorse, dei profitti e dei conflitti di interesse. Ora hai 50 anni, e vorresti che qualcuno ti facesse un regalo per il tuo compleanno, per sentirti al passo con il tempo che scorre veloce e che alla fine ci fotte tutti. Un bel regalo per te ce l'ho in mente, ma purtroppo non dipende da me. Dare una sistemata a questa città, farla diventare il salotto colto di tutto il Sud, chiamare nella tua città tutti gli ingegni migliori dell'epoca, mettere la bellezza a disposizione di un progetto rivoluzionario: vivere bene senza dover omaggiare nessuno, laicamente e in amicizia. Te lo auguro, vecchio mio, e lo auguro a noi tutti.
Un abbraccio, S.”.

lunedì 3 ottobre 2011

“Sradicherò i pali del filobus”

La fiacca più fetente calava nelle ombre della sera del centrosinistra di Smallville: l'elettorato centrosinistro si chiedeva se non fosse il caso di attirare i leader (sic!) del centrosinistra di Smallville alla “Sagra del turcinieddhru in fiore” e colà, armati di lacci e lacciuoli, legarli ben ben alle sedie del teatro Crudelja e sottoporli a 72 ore di musica non stop miscelata dalle sagaci scalette di Pinuccio Sforesio, consigliere comunale del Partito del Lavoro Complesso che, in gioventù, aveva terrorizzato con la musica intere scolaresche e pensionati universitari stralentini.
Cominciò a circolare tra i militanti e simpatizzanti della sinistra di Smallville un invito segreto per procedere alla cattura del manipolo di perditempo e tattici da quattro soldi cresciuti alla corte di Supponenzio Maddalena, l'indisponente esponente del Partito del Lavoro Complesso che aveva, nel corso del tempo, indossato l'elettorato stralentino come fosse un vestito da sera di cui vantarsi con gli amici del circolo velico di Montecitorio. L'invito diceva, tradendo una residua, flebile e tuttavia ancora esistente fiammella di speranza popolare, che se “entro una settimana non fosse stata convocata la Commissione Data delle Primarie, rapiremo i leader del centrosinistra e li sottoporremo a tortura musicale”. Insomma, un periodo orrendo per il centrosinistra stralentino.

Non che la situazione del centrodestra fosse meno fiacca e mefitica. Il sindaco diciottenne di Smallville, il rockabilly Alvaro Giovinotto, si aggirava in stampella tattica tra il popolino stremato dalla crisi e dai pasticciotti autunnali dispensando certezze bulimiche sul roseo futuro della cittadina. E tutto quello che non funzionava? E il filobus inutile e intonso da 84 anni, la disoccupazione giovanile, le cicche per terra, i chewing-gum attaccati sotto le natiche di Sant'Oronzo da perfide squadre di trindisini minorenni assoldati dal sindaco di Trindisi – storicamente nemica di Smallville fin da quando Abelarda Semprevispa si esibiva nei giochi gladiatori patrocinati dalla Roma traianea – per sporcare la nobile cittadina per vendetta contro il furto del Colosso di Rodi, che poi gli smallvillesi aveva ribattezzato Sant'Oronzo per sfregio (e gli avevano anche tagliato inspiegabilmente due dita della mano destra)? Beh? Dove erano finiti i problemi urbani e periurbani? Interrogato da giornalisti mordaci e aggressivi, simili a veri e propri cani da guardasala, Alvaro Giovinotto rispondeva che la responsabilità di tutti i problemi di Smallville era da attribuire a Lei, la Grande Coupable, Abelarda Semprevispa, sindaca di Lecce per volontà di Garibaldi, Mazzini e del Quartetto Cetra.

“Ma allora – chiedevano insinuanti i giornalisti aggressivi di Smallville – lei non ricorda di essere stato Assessore al Bilancio della Giunta Semprevispa, nonché vicesindaco e Assessore ai Lavori Pubblici e anche strappabiglietti al parcheggio dell'Hotel Giorgione?”
“Ma quello – tuonò Giovinotto con voce indignata – è il MIO hotel, e ci svolgo le mansioni che voglio. Capito?”
“Epperò – rispondevano lesti quelli – lei non ricorda allora di essere stato Assessore al Bilancio della Giunta Semprevispa, nonché vicesindaco e Assessore ai Lavori Pubblici?”
“No – rispose tranquillo Alvaro – non ricordo”.
“Ma come – fecero quelli ormai sgomenti – ciò non è possibile!”
“Possibilissimo – rispose l'anziano adolescente – ci sono in letteratura medica moltissimi casi di persone che non ricordano intere epoche della propria vita. E allora? Qualcuno di voi può umanamente dire che si tratti di un reato? Non vedo mani alzate. Vabbè, fatemi andare a lavorare, che al Giorgione manca un barman”. E se ne andò lasciando stupefatti almeno un paio di giornalisti aggressivi.

Ma la notizia vera della settimana era un'altra. Il signor Antonio Muflone, ex sodale della più che atletica Abelarda Semprevispa, aveva deciso di candidarsi a sindaco di Lecce sbeffeggiando l'antica mentore(ssa). Ciò rasentava l'inspiegabile. Ma non è questo il punto. Fu la sua prima dichiarazione quella che attirò la curiosità dei cronisti e dei ficcanaso: “Sradicare il filobus, palo per palo”. Questa affermazione fece in un secondo il giro di Smallville. Pasquale Ciccio, broker fuggito nello Stato indiano del Kerala e, udito lamentarsi per furto di infradito da Supersano (il super-eroe stralentino dietro cui si celava il mitico Francesco Patacca, patron di TeleMiAmo e proprietario del Movimento Stralento Immanente), era stato rimpatriato con il programma “Rientro dei pivelli”. Detto Pasquale Ciccio cercava in un modo o in un altro di sbarcare il lunario, dovendo tra parentesi rimborsare il fisco dopo 32 anni di evasione totale delle tasse. Passando per il luogo ameno dove Antonio Muflone stava giganteggiando con la sua proposta di sradicamento ebbe una fulminante intuizione.

Ogni famiglia di Smallville avrebbe avuto in dotazione dal nuovo sindaco un casco cornuto di origine bovina o caprina con cui il capofamiglia avrebbe potuto partecipare alla distruzione dei pali del filobus nella giornata internazionale del Trasporto Mefitico, in cui gli smallvillesi avrebbero preso a poderose cornate gli odiati pali e disintegrato così una forma di abbrutimento estetico e una considerevole presa per i fondelli per l'intera comunità.
Cominciò così a prendere forma, nella mente complessa di Pasquale Ciccio, ex-broker reinventatosi operatore culturale europeo per potenza della parola di Antonio Muflone, la “Notte dei Tori e dei Capri”, un impressionante evento politico-culturale di fronte al quale la “Notte della Taranta” sarebbe sembrata una festicciola in casa Quarta Molosso. “Dovrò parlarne con Francesco Patacca “ - pensò infine Pasquale Ciccio mentre si dirigeva, nel risciò da lui stesso guidato, verso la periferia postindustriale di Smallville, là dove si ergeva il Grattacielo di TeleMiAmo.