lunedì 11 luglio 2011

Il punto debole del Candidato Perfetto

Del centrodestra di Smallville era meglio tacere. Alvaro Giovinotto acquisiva i servigi di un luogotenente di Abelarda Semprevispa ma perdeva quelli di un terzetto di semi-fedelissimi. La giunta comunale sembrava una zattera piena di usurai che contraevano debiti l'uno con l'altro. Il Freddo era sullo sfondo, un po' depresso per il sogno infranto della prima pornostar candidato sindaco. Nelle mezze trincee delle fazioni locali del Partito Populista si masticava amaro e si complottava sodo. Qualcuno si illudeva sulla possibilità delle primarie: Alvaro Giovinotto si era lasciato sfuggire che era pronto a rinunciare alla candidatura in cambio di un seggio nel parlamento del Belpaese, e ciò avrebbe reso più facile la procedura. Ma i veri spierti sapevano che era un ameno parlare di cazzate. Ogni tanto si faceva vivo Francesco Patacca con qualche nuova trovata di TeleMiAmo, tipo una telenovela messapica Rumasùgghe con sottotitoli in stralentino moderno. D'altronde la soap fu vista da un pubblico piuttosto esiguo e distratto, e che credeva si trattasse di una versione soft di Spartacus. Patacca aveva comunque il suo bel daffare a mettere insieme l'indirizzario dei nominativi dei suoi mille candidati, molti dei quali ignoravano la loro stessa candidatura. Patacca aspettava guardingo che la matassa si sciogliesse da sola, o almeno che si rifacesse vivo San Giuseppe da Copertino con qualche epifania notturna. Ma il santo taceva.

Il centrosinistra era – al solito – attraversato da gelate di inquietudine.

Il Partito del Lavoro Complesso era – nel suo complesso – abbastanza rassegnato all'idea delle primarie. Gino Lobbista si era anzi messo al lavoro (complesso) di radunare una propria cerchia che, passata l'estate, lo sostenesse come candidato. Eugenio Bellapersona si era invece messo quieto: tutti sapevano che la sua impresa non era semplice, ma molti chiedevano di incontrarlo, mentre lui studiava programmi e idee con serietà e modestia. Gli altri erano non pervenuti, o pervenuti a tratti, come l'Italia di Tonino, il Partito Anacronista e il Partito dei Sopravvissuti. Sostanzialmente cincischiavano. Sinistra Filantropia e Preveggenza aveva previsto tutto; quindi, sapendo già come andava a finire la storia, si limitava ad attaccare ovunque manifesti dal titolo cubitale (“Sbrighiamoci, per favore sbrighiamoci”), sofisticato slogan del segretario locale del partito Alighiero Sportello.

L'andazzo non piaceva a Equo Solidale, il segretario regionale del Partito del Lavoro Complesso, che non sapeva da che parte girarsi per evitare complotti e complottini, tranelli e tranelletti delle diverse fazioni endogene del Partito.

In una sera di particolare sconforto, non seppe resistere e chiamò Supponenzio Maddalena, il quale però era in chat con Travaglio in una sessione di puri insulti e non gli rispose. Equo si rivolse allora all'unica risorsa rimastagli: Don Juan Pipadehierro. Il vegliardo hidalgo rispose quasi senza che il telefono avesse squillato: la cosa stupì come sempre il segretario regionale, perché aveva qualcosa di strano e di magico. Don Juan ascoltò lo sfogo di Equo Solidale, poi, sillabando le parole disse: “Bisogna parlarne di persona. Domani notte nel mio castello di Infernole. Appuntamento a mezzanotte precisa”.

L'indomani Equo passò una giornata apparentemente simile alle altre. Era abituato a dissimulare, e nessuno si avvide del suo stato d'animo agitato. Fu una giornata piovosa, e anche in serata il cielo non si schiarì. Era anzi pieno di cupi nuvoloni.

A mezzanotte era nel castello di Don Juan. Il ponte levatoio venne gettato e la jeep del segretario poté entrare nell'ampio cortile. Accorsero con un ampio ombrello due portaborse notturni, entrambi simili a Marty Feldman (anche se si esprimevano in schietto stralentino). Lo accompagnarono lungo un'ampia scalinata, al termine della quale attendeva impaziente Pipadehierro. Aveva una divisa da medico di Scrubs, verde operazione. “Accomodati” – fece secco l'hidalgo. Entrarono in una sala spaziosa, piena di macchinari. Un'ampia vetrata mostrava al segretario regionale la furibonda guerra tra nuvole, testimoniata da una pioggia violentissima e da decine di fulmini. “Perfetto” – commentò soddisfatto Don Juan.

Solidale gli rivolse uno sguardo interrogativo, e allora l'hidalgo parlò: “ La situazione che mi hai descritto è grave. Noi dobbiamo strappare la città alle grinfie del centrodestra. Costi quel che costi. Ma se non interveniamo in modo esemplare non ce la faremo mai”. “Sarebbe?” – chiese sussiegoso il segretario regionale. “Qui serve l'antica scienza amico mio. Qui occorre trasformare la materia morta in nuova vita. Serve una nuova creatura portata alla vita politica dai fulmini di questa notte stralentina. Qui o si fa il candidato o si muore” – e si avvicinò a un gigantesco contenitore di liquidi, dove galleggiava un corpo all'apparenza umano.

“Cos'è?” - chiese spaventato Equo.

“In questo povero corpo” – proferì Don Juan – “si agitano le quintessenze dei migliori leader della sinistra e del centrosinistra. Non chiedere a un vecchio alchimista come ha fatto, ma nel suo cervello si agitano ora i pensieri di Togliatti, di Peppino Di Vittorio, di Berlinguer, di Gianni Morandi e di Drupi. Non ho mancato di aggiungere cellule di Frank Sinatra, di Sean Connery, di Umberto Eco e Don Milani. Ancora un attimo e avremo il candidato perfetto”.

“Aigor!” – gridò Don Juan - “Pronto a spingere la leva”.

Il portaborse si posizionò alla macchina e attese il segnale.

“Adesso!” – urlò Don Juan mentre un fulmine sembrava spaccare il cielo.

Nella sala si produsse un fragore potentissimo, e tutti i led del contenitore si illuminarono.

Equo Solidale trattenne il respiro.

“Qualcosa si muove” - disse emozionato Aigor.

In effetti il corpo aveva iniziato dei movimenti piuttosto convulsi. Si sarebbe detto che tentava di uscire dall'acqua e dal vetro. “Aiutalo, muoviti” - ordinò Don Juan ad Aigor.


Già qualche minuto dopo il Candidato Perfetto era al centro della stanza, e conversava amabilmente con l'hidalgo e Solidale. Si era infilato una tenuta da caccia del nobiluomo e stava benissimo. La sua voce era seducente, il suo discorso fluido, i suoi gesti autorevoli e misurati.

Stava già catechizzando Aigor quando Don Juan trasse a parte Equo e gli sussurrò: “Potrebbe esserci un unico problema. Pare che questa generazione di candidati artificiali abbia qualche carenza affettiva: si innamorano perdutamente della prima donna che vedono”. In quel momento a Equo la cosa sembrava marginale. Avevano finalmente un Candidato Perfetto. Le primarie sarebbero state una passeggiata.

Proprio in quel mentre l'altro portaborse notturno bussò con forza alla porta della sala ed entrò con fare imbarazzato. “Che c'è perdiana?” - chiese ruvido Pipadehierro. “Sono costernato Don Juan. Ho detto alla signora che non potevate riceverla a quest'ora, ma non ha voluto sentire ragione”. “Che signora?” - bofonchiò l'hidalgo. “Don Juanbello, e la nostra partita settimanale di burraco?” - si sentì da dietro alla porta.

Quando alla fine donna Abelarda Semprevispa varcò la soglia gli occhi di Don Juan e di Equo Solidale corsero costernati allo sguardo del Candidato Perfetto.

“Don Juan, chi è questa femmina meravigliosa?” - chiese trasognato il Candidato.

Un brivido di gelo corse nelle schiene dei due complici.



lunedì 4 luglio 2011

Rocco Siffredi e il sogno infranto del Freddo

“Insomma” - chiese serio il Freddo - “Lei sarebbe disposto a passare un paio d'ore in mia compagnia?”
“D'accordo” - rispose Rocco Siffredi - “Fa strada lei?” Il capo del Partito Populista Magliese aveva conosciuto il pornodivo nello studio romano dello psicanalista Erminio Castromediano, di cui erano entrambi frequentatori. Il Freddo, stringendo la mano all'attore e valutando la sua persona, aveva sentito che forse era vicino alla soluzione del suo persistente problema politico: trovare un candidato sindaco per Smallville all'altezza della situazione.
Il Freddo aveva fatto un sorriso a Rocco e aveva rivolto a Erminio Castromediano una breve domanda, che rendeva plausibile invitare la pornostar all'uscita dallo studio e sequestrarla per la successiva ora e mezza. La domanda era: “Non le dispiace - vero dottore? - se quest'oggi il signor Siffredi salterà la sua seduta?” E aveva indirizzato la nuova conoscenza verso l'uscita. Siffredi era apparso stupito. Ma aveva accettato. Si diedero appuntamento in una sala riservata dell'Hotel Grandeur, conosciuto da entrambi. Sorseggiando due spremute di cicoriella paesana affogate nell'anice stralentino, conversavano amabilmente di fronte a un piatto di mustazzoli e turcinieddhi. Siffredi parlava a ruota libera: del periodo di “Rocco invade la Polonia” (1995) ricordava ogni cosa, e descriveva con dovizia di particolari la società polacca dell'epoca e gli umori diffusi tra la popolazione femminile. Dimostrava un certo talento per il marketing territoriale, non vi era dubbio.
Al Freddo sembrava di sognare: Siffredi era stato uno dei suoi miti giovanili, e ritornava con nostalgia al ricordo delle proiezioni delle sue straordinarie pellicole al Cinema Fasularo di Rizzanello, dove si recava di nascosto con gli amichetti del liceo. Da lì aveva appreso la gran parte del suo immaginario erotico. Non poteva scordare le movimentate trame di “La massaia in calore” (1991), “Ho scopato un'aliena” (1992), “Anal princess” (1996).
La sua mente seria uscì dall'eccitazione del ricordo e si concentrò sulla trattativa. Era lì con Rocco Siffredi per un motivo molto importante: voleva valutare se il tipo che gli stava di fronte ben disposto e affabulatore poteva diventare il candidato vincente per il centrodestra di Smallville. Il Freddo non credeva alle possibilità di Alvaro Giovinotto, almeno fino a che Abelarda Semprevispa non avesse deciso di ritirarsi. E ciò era del tutto improbabile. Per cui bisognava vincere contro l'aspra vegliarda. E contro il centrosinistra. Anche se il centrosinistra ancora cincischiva in una palude di riunioncine strapallose, prima o poi avrebbe cacciato una data per le primarie, e da lì le cose potevano prendere una piega imprevedibile.
Il nome di Siffredi avrebbe prima destato scalpore e incuriosito la popolazione di Smallville. Poi, sentendolo parlare in pubblico, l'elettorato avrebbe compreso che Rocco aveva storie divertenti da raccontare, e anche qualche slogan spudorato.
“Senta Rocco, le interessa la politica?”- chiese infine il Freddo intrecciando i polpastrelli in un piccolo scatto di autorevolezza gestuale.
“Beh, non tanto” - ammise il pornodivo.
“E la carriera politica? Voglio dire: lei lo farebbe il sindaco della più bella città del Sud Italia? Pensi alla nuova penetrazione del suo marchio presso l'opinione pubblica. Non solo nazionale” - prospettò il Freddo. Rocco rimase in silenzio per qualche secondo. Tanto bastò al Freddo per smarrirsi di nuovo nei ricordi dell'adolescenza: scorrevano nella sua mente le immagini e i dialoghi di “Caldi istinti di una ninfomane di lusso” (1992), “Sexophrenia” (1994), “Rocco Siffredi e le Top model” (1995). Pietre miliari della sua immaginazione e della distinzione culturale che ne scaturiva: solo gli adolescenti che avevano accesso al mondo porno di Rocco potevano rappresentare, per il futuro politico populista, la crema di nuovo ceto culturale ben più avanti rispetto ai coetanei. Il Freddo e i suoi amici sapevano che il mondo è fatto di erezioni possenti e di femmine che non vedono l'ora di cavalcarle, di notte e di giorno, dal salumiere e in piscina olimpionica, nel supermercato e in farmacia, sul trespolo del pappagallo e sotto un letto di ospedale, sul tetto di una macchina e su un roveto. Le donne hanno un prezzo: qualche cena elegante, qualche regalo. Ma in fondo – più o meno segretamente – sono assatanate. La politica, aveva scoperto il Freddo, assomigliava a un film porno. Arrivava uno e scopava tutto ciò che incontrava. L'unica qualità richiesta era uno smodato desiderio, capace di incarnarsi per un bel po'.
Il Freddo odiava lo slogan della Lega Razzista Padana “La Lega ce l'ha duro”. Non per il contenuto, ma per il fatto che loro fossero stati i primi a strillarlo nei comizi e ad annettersene il copyright.
Il concetto era esatto: una certa visione della politica – apparentemente solo cinica – in realtà nascondeva un dispositivo pornografico. Sistemare i puzzle della riproduzione economica e sociale equivaleva al sesso. Era interessante quanto e più del sesso.
Il Freddo fece un altro sforzo di concentrazione: ora bisognava portare a casa un candidato che avrebbe potuto urlare in un comizio, senza tema di essere contraddetto: “Noi l'abbiamo più lungo e più duro della Lega”. Il Freddo cominciò a immaginare i manifesti 6 per 3, gli spot televisivi, le pubblicità sui giornali. La campagna sarebbe stata magnifica. Esuberante. Verace.
Siffredi stava uscendo dal proprio silenzio ma il Freddo lo guardò fisso negli occhi, sciolse le dita dal precedente intreccio e disse estatico disegnando lettere nell'aria: “Rocco Siffredi per Smallville. Un uomo che non conosce l'impotenza. Godiamoci la nostra città”.
“Che ne dice Rocco?” - chiese ansioso il Freddo.
“Vede – rispose dopo un'altra lunga pausa il pornodivo - “eravamo entrambi dallo psicanalista due ore fa. Secondo lei qual è il motivo per cui un pornodivo si reca dallo psicanalista? ” - e Rocco si chiuse poi in un nuovo e avvilito silenzio.
La mente del Freddo si perse a fantasticare ancora una volta sugli antichi ricordi, sul “Castello del piacere” (1992), “Sex Animals (2000), “Rocco e Margherita: racconti a pecorina” (1998). I ricordi sfumarono rapidi, questa volta. Il suo sogno era andato in pezzi. Rocco Siffredi non sarebbe stato il suo candidato. Stette zitto e meditabondo per un paio di minuti. Ritrovò presto la sua leggendaria freddezza. In fondo, aveva perso solo due ore del suo tempo. Non era poi un dramma.
“E' stato un piacere conoscerla e parlare con lei. Se passa dalle parti dello Stralento si faccia sentire.
La saluto e buone cose”. Poi il Freddo girò i tacchi e imboccò la porta del privé. Rocco restò lì ancora qualche minuto a sorseggiare la cicoriella paesana affogata nell'anice, poi uscì a sua volta, spiacente di aver deluso il suo antico pubblico.